Brands, come out!
Bisogna fare rumore.
E non c’è cosa più difficile che farlo con la propria voce. Non c’è cosa più difficile del coming out.
Questa forza qualcuno l’ha avuta e non proprio uno a caso.
Tim Cook, oggi a capo di uno dei brand che almeno una volta nella vita ognuno di noi ha sentito nominare, Apple, è stato il primo CEO di una multinazionale a fare pubblicamente coming out.
Coraggio. Stiamo parlando di coraggio, quello di urlare a gran voce.
Apple l’ha sempre fatto, anche quando la guidava Steve Jobs. Ha sempre strillato i propri valori, arrivando ovunque, sprigionando la propria identità e graffiando chi tentava di ferirla.
Basti pensare a uno dei motivi che stanno dietro al logo dell’azienda. Si racconta che Steve Jobs decise di rendere omaggio ad Alan Turing, il matematico segretamente gay che decriptò i codici tedeschi creati dalla macchina Enigma durante la seconda guerra mondiale e venne poi perseguito dalla giustizia britannica (l’omosessualità era reato fino al 1967) e infine trovato morto con una mela morsicata accanto.
E capite bene che essere gay a quell’epoca e, oggi, diventare un colosso dell’economia con un logo e un’identità così “proud”, non sono proprio robette da niente.
Esattamente come Apple, tutti i brand dovrebbero essere proprietari di un’identità forte e riconoscibile e perché no, talvolta coraggiosa in quanto differenziante.
Perché bisogna avere coraggio, per essere autentici.
Le chiavi sono la capacità di evolvere e il coraggio di farsi scoprire ogni giorno per qualcosa di diverso, di nuovo.
La capacità di esporsi, di dichiararsi apertamente per ciò che si è, di uscire allo scoperto, di affrontare il mondo che cambia. Di schierarsi. È un vero e proprio coming out del brand. Un atto di coraggio con effetto liberatorio.
L'inclusività di un brand si riferisce all'impegno di un'azienda o una marca nel creare prodotti, esperienze e messaggi che accolgano e rappresentino un ampio spettro di persone, indipendentemente da etnia, genere, orientamento sessuale, età, abilità fisiche, stato socio-economico e altre caratteristiche distintive.
Cosa accomuna il branding e l’inclusività? L’identità.
Identità è (secondo definizione) “il senso e la consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo.”
Ma l’identità è oggi un concetto in continua evoluzione, che contiene svariate sfumature. Un tempo era intesa come qualcosa di monolitico, efficace perché stabile nel tempo, un garante sempre uguale a se stesso, che non poteva essere messo in discussione, mentre ora assume piuttosto le sembianze di un gridato “NO MATTER WHAT”.
Cosa significa per un brand fare coming out?
I clienti che vengono da noi per fare il loro coming out, cercano un modo migliore per comunicare quello che sono e ricevere una direzione rispetto al loro posizionamento. O rispetto a un nuovo posizionamento. O, ancora, rispetto ai messaggi che hanno mandato finora e a quelli nuovi che vorrebbero mandare domani.
Perché si sentono cambiati, più pronti. Perché si accorgono che il pubblico al quale parlano è cambiato e sentono di doverlo fare anche loro, in modo da essere ascoltati e di non rischiare di usare una parola di troppo o di parlare nella maniera sbagliata.
Ciò che serve loro è un gesto disruptive, un atto di coraggio nei confronti delle proprie paure.
Come designer, ma anche come consulenti, il nostro approccio è quello di un amico che ascolta il coming out di una persona a lui cara.
È nell’attimo in cui questo ascolto incontra il coraggio che si compie lo switch, che l’inclusività entra a far parte dei valori che un brand vuole portare nel suo bagaglio.
Noi progettiamo quello che i brand vogliono dire, disegniamo la loro bandiera e lo facciamo tirando fuori la voce che i nostri clienti hanno, ma non riescono a esprimere. È l’essenza stessa del coming out: creare uno spazio dove prima non c’era.
Lottare senza paura
Un ultimo step è quello di lottare in nome dell’inclusività, non importa quante shitstorm arrivino. Farsi pionieri di messaggi inclusivi prima di altri, senza paura. Come ha fatto e fa oggi Apple. Si può fare provocando (come Freeda) o parlando in maniera educata (come il carattere tipografico SansGender).
In entrambi i casi, ci si espone e ci si schiera.
Quindi, un brand può partire anche solo dal linguaggio visivo per poi creare e diffondere la cultura dell’inclusività.
Inclusività è questo: creare spazio per fare emergere tutte le identità, compresa la propria, personale o di marca.
Ma tutto nasce dal coming out, dal mettersi a nudo in pubblico, dall’essere se stessi e mostrarlo con fierezza, affrontando le proprie paure.
Da quell'atto di coraggio che precede il cambiamento.
E il tuo coming out qual è?
Consigli, letture e reference sul tema del Coming Out:
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