In User Veritas
C’era una volta il Re Vino, sovrano di un castello dorato dove ogni giorno si tenevano banchetti raffinati, riservati a chi parlava il linguaggio elegante dei nobili. Il popolo guardava da lontano, affascinato ma escluso, sognando un invito.
Finché un giorno i soldati portarono al re una notizia sconcertante: fuori dai cancelli non c’era più nessuno. Il popolo se n’era andato, stanco di aspettare. Le mura, un tempo fiere, erano ormai vuote.
Il Re Vino impallidì: davvero non c’era più nessuno disposto ad ammirarlo?
Se questa storia vi suona familiare, non è un caso. Il regno del vino, oggi, si sta davvero svuotando. In Italia, in quasi quindici anni, i consumi pro capite si sono dimezzati.
Le cause sono diverse e intrecciate. Da un lato, l’aumento del costo della vita rende ogni consumo meno spontaneo. Dall’altro, birre e spirits sanno rinnovarsi meglio. Ma il nodo centrale è culturale: stanno cambiando i consumatori.
Le nuove generazioni bevono meno, per salute ma anche per un rapporto più disincantato con l’alcol. Paradossalmente, proprio oggi che tutto può diventare uno status symbol, il vino fatica a tenere il passo.
Forse perché porta ancora con sé un certo snobismo percepito – un’estetica, un linguaggio poco inclusivi così come la sua community (leggasi gatekeeping), che mal si accordano con un’epoca sempre più votata all’accessibilità e alla partecipazione.
Ad “aggravare la situazione” ci sono poi gli astemi per scelta, le comunità religiose o culturali che escludono l’alcol, chi deve evitarlo per motivi di salute. Sommando questi gruppi, il potenziale pubblico che si tiene lontano dal vino non è una nicchia: è una moltitudine.
Lo switch nel prodotto
Allarmato, il sovrano convocò i suoi consiglieri e insieme salirono sulla torre più alta del palazzo, cercando una spiegazione.
”Perché sono andati via tutti?", gridò il re, sbattendo i pugni in aria.
”È colpa sua, è troppo pomposo!" esclamò un nobile, indicando un altro.
"No! È lui che è troppo pesante!" replicò l’altro.
"Secondo me è lui invece, che ha provato a sembrare naturale… e nessuno gli ha creduto."
"Ma cosa ci fanno? Chi li ha mandati?" tuonò il sovrano.
"Abbiamo fermato dei viandanti e chiesto loro. Dicono che sia un regno simile al vostro, ma migliore."
Il re strabuzzò gli occhi. "Che cos’è quella baracca?! Andiamo subito a vedere!"
E così, Re Vino e la sua corte si misero in marcia verso il nuovo regno.
C’è chi, guardando gli esclusi dal regno del vino, ci ha visto un’occasione: non una minaccia, ma nuovi potenziali consumatori. E ha osato l’impensabile: togliere l’alcol.
Così nascono i NoLo wines, che non solo rispondono a un trend di mercato, ma riscrivono l’identità stessa del vino.
Lo switch nei messaggi
Una volta arrivati, Re Vino e la sua corte rimasero attoniti davanti a ciò che videro nel regno rivale.
“Ma che modo è di parlare? Parole volgari, leggere... indegne della nobiltà!”
“Il nostro è un lessico pregiato, non sono veri nobili!”
“Questa è da scomunica! Non possono usare il nostro titolo con tanta leggerezza!” tuonò Re Vino, la voce piena d’ira.
Eppure, nessuno sembrava ascoltarlo. Nessuno si voltava. Nessuna paura aleggiava. Quei nuovi sudditi non avevano né padroni né sovrani: parlavano tra loro, ridevano, si godevano il vino senza aspettare il permesso di nessuno.
Quando il vino perde l’alcol, cambia anche linguaggio: servono nuovi codici, nuove narrazioni.
Nei mercati più maturi, come gli USA, i brand hanno rotto con i riferimenti tradizionali. Non bastava innovare il prodotto: è cambiato il modo di raccontarlo. Il focus non è più sull’alcol, ma sull’esperienza.
Là dove manca un’eredità enologica forte, il racconto si fa più leggero: cene tra amici, pause all’aperto, scelte mindful. Meno terroir, più contesto. La comunicazione diventa inclusiva, senza autorità da venerare né timori di sbagliare.
In Europa, il cambiamento è più cauto. Si insiste su gusto e qualità, cercando di dimostrare che anche senza alcol il vino resta “serio”. L’assenza va spiegata, giustificata, validata tecnicamente.
Abbondano i dettagli sull’estrazione dell’alcol e le rassicurazioni organolettiche: si punta sulla competenza più che sull’esperienza. Segno che, qui, togliere qualcosa è ancora visto come una perdita, non una trasformazione.
Lo switch nei codici
"Ma guardali… che fanno? Bevono stesi sull’erba, senza inchini, senza etichette!"
"Non sanno nemmeno cosa sia un calice di cristallo! Come osano usare bicchieri di plastica!" sussurrò un cortigiano, il volto contratto dall’indignazione.
"Ma come ridono… come si abbandonano a quel divertimento sguaiato! Non è degno di una corte, non è degno di nulla!"
"Non hanno alcun rispetto per il buon gusto."
Quando cambia il contenuto, cambia anche il contenitore: il packaging si adatta.
Negli USA, brand come Whiny Baby e Surely sperimentano con lattine, cartoni e bottiglie dal design pop, colori vivaci, naming informale e riferimenti culturali inediti.
Da noi il tono resta più sobrio. Brand come Doppio Passo o Zaccagnini puntano su vetro scuro, etichette eleganti e richiami alla tradizione. L’araldica resiste, anche se alleggerita. I codici visivi non spariscono, si adattano per rassicurare: “Siamo diversi, ma restiamo vino”.
In User Veritas
Tornando al castello, Re Vino sbuffava e derideva quel nuovo regno disordinato e irriverente.
Ma tra i nobili, uno dei più giovani, rimasto in silenzio fino a quel momento, alzò lo sguardo e disse: "Maestà… forse la risposta è sotto i nostri occhi. Non è il vino ad aver perso valore, è il trono a non avere più spettatori. Sono tutti altrove, in regni senza corone, senza scettri. Forse, semplicemente, è finita l’epoca delle monarchie. Le persone non cercano più un re da ammirare. Cercano un posto in cui sentirsi parte. Cercano una democrazia."
Se è vero che sia in Europa che nel mondo anglosassone qualcuno ha avuto il coraggio di fare ciò che per anni sembrava impensabile, è altrettanto vero che sono stati soprattutto i secondi a spingersi davvero oltre. Hanno osato cambiare linguaggi, codici, rituali. Hanno reinventato non solo il prodotto, ma il modo stesso di viverlo.
Era necessario? Forse sì. O forse era solo inevitabile.
Come evolverà questo mercato resta da vedere. Ma una cosa è chiara già ora: sta funzionando perché chi lo guida ha capito una verità semplice ma spesso dimenticata. L’innovazione non comincia dal prodotto. Comincia da chi lo userà.