Sabato mattina, non sono nemmeno le dieci e c'è già una discreta coda fuori dal locale.
Il motivo? È il nuovo posto di cui parlano tutti e ne parlano a causa di un cinnamon roll che pare meriti parecchio. Dove per parecchio intendo un’attesa superiore ai trenta minuti.
L’attesa mi snerva, non fosse altro perché sono fuori tempo massimo rispetto ai dettami non scritti della coolness a mezzo social: pubblicare una foto oggi, a più di un mese dall’apertura, è dir poco tardivo, ma resto in coda perché ho bisogno di carpire il segreto di tanto successo.
Si rincorrono diverse voci: “Il proprietario lavorava in un ristorante stellato”, “Il locale è stato progettato dallo studio di architettura del momento”, “Usano una farina prodotta esclusivamente per loro da un piccolo mulino locale”, “Hanno rifiutato investitori per mantenere alta la qualità”
Quaranta minuti dopo ne aspetto quindici per il servizio. Il dolce e il caffè che consumo frettolosamente mi costano ben sette euro.
Certo, era tutto buonissimo. Il locale? L'avevo già visto su Pinterest.
Mentre torno a casa, e ormai si è quasi fatta ora di pranzo, mi chiedo se un successo simile sia replicabile, se esista una formula precisa, quanti e quali fattori concorrano dall’estetica fino alla viralità social. In tutto ciò il ruolo della qualità di ciò che viene proposto è un dato di fatto, si dà per scontato. Fattori come servizio, modalità d’attesa, al contrario, assumono un peso inferiore, sono quasi parte dell’esperienza. La perfezione che comporta sofferenza, quella del cliente però.
Ma quale ruolo gioca il branding in tutto questo? E quanto incide la progettazione dello spazio?
Spesso i nostri clienti arrivano da noi con una richiesta molto specifica: "Ho visto il progetto X e vorrei replicare il successo che ha ottenuto." Nel caso di un nuovo brand, con l'apertura di uno store o di un format replicabile, i fattori che incidono sull'ipotetico successo si moltiplicano. La progettazione dello spazio è uno di questi, ma su quali principi si basa?
“A questo ci pensa il mio architetto”, “Vorrei il bancone in marmo e tante piante”, “Ho visto un locale a Londra che mi piace un sacco”, “Mi affiderò al general contractor che ha già realizzato i locali migliori della città”
La progettazione dello spazio diventa quindi una questione puramente estetica, slegata dalla coerenza con il brand o dal pubblico che si vuole intercettare. Ci si affida alla riproposizione di soluzioni esistenti o a una visione personale.
Ma cosa rimane di tutto questo? Cosa resta impresso nella memoria?
Forse potremmo prendere spunto dal passato, quando i fratelli Castiglioni, negli anni ‘50, ridefinivano il concetto di ristorazione con la storica birreria Splügen Bräu, un luogo che superava le convenzioni dell’epoca per trasformarsi in un’esperienza immersiva. Qui, l’identità del brand, curata magistralmente da Max Huber — autore anche della grafica di posate, piatti e bicchieri (diventati dei cult) — si fondeva con uno spazio progettato su più livelli, pensato per coinvolgere i clienti e renderli parte di un’atmosfera unica e coinvolgente.
Un'analogia che si ritrova anche nello storico locale di De Santis: la "scomodità" dello spazio, con i clienti stretti tra la parete e il bancone, diventa il tratto distintivo del locale, un elemento identitario replicato anche nelle aperture successive.
La configurazione dello spazio si trasforma in un linguaggio narrativo capace di determinare la riconoscibilità di un brand, al pari della progettazione dell'identità visiva. In questo contesto, la creazione di un'esperienza unica e di rituali di consumo memorabili diventa cruciale; questi ultimi, spesso amplificati dalla viralità sui social, consistono in gestualità o modalità di servizio che si ripetono e diventano segni distintivi unici, emergendo così in uno scenario sempre più affollato.
Sarà sufficiente?
Sicuramente è un buon punto di partenza, ma di certo non sarà solo quello che ne determinerà il successo.
La coda e la relativa popolarità per strapagare un cinnamon roll rimangono eventi che non possono essere progettati a tavolino.
Sento vibrare il telefono nella tasca, è la notifica di un messaggio.
'Hai provato la nuova pizza al taglio in Porta Venezia?' Hai visto le stories? Ieri ho aspettato un’ora, però era buonissima”.
Ci risiamo, domani ci vado. Almeno questa volta sarò tempestivo con la foto sui social.