OttimA Intuizione!
Milano, un giorno qualunque di un mese qualunque del 2025.
Nella nostra sala riunioni, il brief per un nuovo prodotto ready-to-drink è sul tavolo.
Le sfide sono quelle di sempre: un mercato affollato, poco tempo a disposizione e la richiesta di un concept che lasci il segno sul target.
È ora di parlare con i consumatori.
“Per me, il momento caffè più importante è decisamente la mattina, quando ho ancora gli occhi assonnati e mi sono appena rotolato fuori dal letto. Ho bisogno di qualcosa che mi sazi e mi mantenga concentrato durante le interminabili riunioni!” (I.)
"Ho bisogno di energia per alimentare la mia creatività. Cosa dovrebbe dirmi un brand per convincermi ad acquistarlo? Non dirmi che è solo caffè, ma che è il carburante per la mia prossima grande avventura. E ovviamente, il packaging è fondamentale: deve fare la sua figura nelle stories!" (S.)
“Quando ho lezione alle 8:30, non c'è modo di funzionare senza un caffè. Berlo è come premere il pulsante di reset per il mio cervello.” (M.)
I, S e M ci raccontano in quali occasioni acquistano il prodotto, dove lo comprano. Condividono le loro preferenze in fatto di gusti e formati, danno opinioni sul packaging e sull’attuale comunicazione del brand.
Ma I, S e M non sono persone reali, e il focus group di cui sono protagoniste non prevede biscotti sul tavolo. I, S e M sono synthetic personas create per simulare tre target potenziali del prodotto, che in un rapidissimo scambio di prompt ci hanno svelato tutto su di loro.
Il motore di questo dialogo? L'intelligenza artificiale.
A questo punto, potremmo prendere queste prime risposte e considerarle la verità. Potremmo trattare l'AI come un oracolo: interroghi, ricevi una risposta e la prendi per buona.
Sarebbe la via più facile: c'è una risposta, c'è una direzione logica. C’è, soprattutto, la conferma di quello che sospettavi già. In fondo, compiacerci è la sua tendenza naturale e il suo “Ottima intuizione!” è un bel boost di autostima virtuale.
Ma per un'agenzia come CBA, il compiacimento è un nemico. La nostra missione è scovare l'inaspettato, leggere tra le righe di un'intervista, trovare l'insight che ribalta le prospettive. E l'inaspettato, per sua natura, non può nascere da uno strumento progettato per darci ragione o dirci esattamente quello che vorremmo sentire.
Per una professione come la nostra, in cui fare le domande giuste è tutto, questo diventa un tema centrale. Una recente ricerca del MIT ha sollevato un dubbio ancora più insidioso: e se il rischio nell’uso di AI non fosse perdere il lavoro, ma la capacità di pensare criticamente?
Infatti, non si tratta solo di interrogare una macchina, ma di guidarla e sfidarla affinché si spinga oltre la superficie.
E allora, proprio come avremmo fatto con una persona vera, non ci siamo accontentati. Abbiamo trasformato l’AI in una palestra e iniziato a sfidare le risposte. "S., ma questa 'coccola', a cosa ti serve davvero?". "Marco, questo 'rito', che significato ha per te, solo per te?".
Abbiamo trasformato una semplice domanda in un dialogo profondo. Ed è stato allora che le risposte hanno iniziato a cambiare. Quando abbiamo smesso di chiedere e abbiamo iniziato a insegnare. Abbiamo nutrito le nostre personas con la nostra esperienza, attingendo alle tensioni culturali che osserviamo ogni giorno. Abbiamo dato loro un contesto, una profondità. E a quel punto, le stesse personas hanno iniziato a parlare una lingua diversa, più reale.
Ecco la differenza. L'oracolo ci aveva restituito una mappa del mondo già conosciuto. La palestra ci ha permesso di scoprire territori nuovi. E forse, la vera "ottima intuizione" è quella di non accontentarsi di risposte semplici e continuare a fare domande “scomode”.