Sono cosa mangio, sono dove mangio
“Siamo andati in questo ristorante sul mare perché una mia amica voleva fare delle storie su Instagram, lì l’aveva visto e le piaceva… ci hanno detto che se volevamo la prima fila dovevamo aspettare mezz’ora, perché i tavoli erano tutti occupati. Quindi abbiamo aspettato fuori.”
(Cristina, 24, Napoli)
Chi di noi non ha mai fatto le foto ad un piatto? Chi non ha mai taggato il locale nel quale si trovava nelle proprie storie? E chi, invece, è andato in qualche posto sapendo già che lo faceva per poterlo postare sul profilo Instagram?
Sono comportamenti che, solo 15 anni fa, non esistevano e non erano preventivabili. Ma lavorando da sempre con i protagonisti del settore food, siamo abituati alla continua ricerca di nuovi trend relativi al rapporto con il cibo e al suo consumo out of home.
Da Cristina, come da molti altri ragazzi della Gen Z, arrivano segnali fortissimi: pensieri che possono sembrare banali o scontati, ma che nascondono in realtà l’espressione di necessità e esigenze che stanno mutando nel tempo, a gran velocità.
Input che si riflettono anche nell’evoluzione delle necessità dei nostri clienti del mondo della ristorazione, ormai sempre più spesso alla ricerca di supporto per ritrovare una connessione con i più giovani, con i loro nuovi consumatori.
È così che è nata FoodZ, la nostra ricerca qualitativa e quantitativa sulle abitudini di consumo, i significati e le aspettative dei ragazzi della Gen Z. Ripresa e aggiornata nel corso dell’ultimo anno attraverso una ricerca quantitativa che ha coinvolto più di 400 studenti universitari, racconta il rapporto tra la Generazione Z e il mondo della ristorazione negli anni pre e post pandemia.
È il ritratto di una generazione che mangia fuori spesso, forse più di quelle precedenti, e che non accenna a cambiare abitudini. Che ci racconta che se l'89% degli Zoomer intervistati mangiava fuori almeno una volta a settimana, la percentuale, quattro anni dopo, è salita al 96%.
Solo che il cibo non è più al centro di tutto.
DAL CIBO ALLO SCENARIO
Decidere dove mangiare è come scegliere un vestito, un’estensione della propria identità
“Solo” al 63% della Gen Z interessa davvero cosa mangerà quando esce. Edoardo, una volta convinta la propria crush ad uscire insieme, vorrebbe portarla in un posto che abbia caratteristiche che rispecchino la sua personalità, dove il cibo non rappresenti la componente più importante e dove la coppia possa interagire e magari trovare un certo grado di intimità. Per questo, cerca locali che abbiano diversi stimoli che possano funzionare da ice-breakers, alimentare le conversazioni offline e, al stesso tempo, aiutarlo a raccontare se stesso per farsi conoscere attraverso il luogo.
È un’inversione di tendenza importante: il cibo perde importanza a favore dello scenario. Come si spiega, altrimenti, che un terzo dei ragazzi della GenZ voglia andare in locali dove si possano fare belle foto da condividere? Non succede tanto per il cibo, quanto per il contesto.
Consiglio di un Gen Z #1. Pensate al vostro locale come una tela bianca, uno spazio in grado di accogliere e ispirare. Posizionate i tavoli in modo che possa essere garantita la giusta intimità e fate attenzione alla scelta delle luci, soprattutto quando ci si trova in grandi spazi. I dettagli sono la chiave. Inserite elementi che raccontano di voi e ispirano conversazioni, come i libri di Long Song Books & Cafè di Milano. Giocate con il vostro spazio, inserite elementi originali e inaspettati, così che anche noi possiamo identificarci e mostrare parti di noi.
DAL GUSTO ALLA RELAZIONE
L’esperienza legata al food come facilitatore delle relazioni
Abbiamo scoperto che il 43% dei Gen Z preferisce andare in posti che offrano esperienze oltre al cibo, da usare per interagire e intrattenere. Edoardo stasera ha il secondo appuntamento. Ma rispetto alla prima situazione, in cui cercava più intimità, stavolta cerca una situazione più vivace, che aiuti a evitare silenzi imbarazzanti, che ispiri argomenti di conversazione e aiuti a capire se c’è affinità. Parliamo di una generazione che ha paura di finire gli argomenti e di sentirsi in imbarazzo e che - quindi - cerca un antidoto nei locali, senza fermarsi al mangiare bene e al gusto. Perciò, non deve sorprendere che fra amici ci si consigli di andare dove ci siano anche attività ludiche come il karaoke o la quiz night, che possono intrattenere e allo stesso tempo facilitare l’interazione.
Il focus cambia: meno gusto, più relazioni.
Consiglio di un Gen Z #2. Divertitevi a sorprenderci: dal proporre più tipi di attività con un’offerta che varia nell’arco della settimana, come fa lo Yellow Square a Milano, a creare soluzioni interattive negli spazi del locale come fa la catena Fra Diavolo in ogni sua location. Questo ci invoglia a “giocare” e a frequentare più spesso lo stesso locale. E lo stesso vale per i menù, includendo delle limited edition si crea un’esperienza più ricca e momenti di sperimentazione e confronto.
DA CLIENTE A COMUNITÀ
Essere se stessi, all’interno di una comunità
Il 65% dei Gen Z sceglie il locale anche sulla base di chi lo frequenta. Le cose stanno andando bene per Edoardo, tanto che stavolta ha organizzato con Giulia un’uscita a quattro, coinvolgendo anche degli amici.
Nel locale dove hanno deciso di passare la serata si sentono perfettamente a loro agio, perché si sentono affini a chi lo frequenta. La location diviene un ulteriore simbolo della propria identità, lo specchio della community alla quale si sente di appartenere e dei valori che si condividono, una sorta di ‘terzo step’ di quel mostrarsi e svelarsi poco per volta proprio delle relazioni.
Va interpretata in questo senso anche la scelta accurata delle foto da postare: non più la condivisione ‘bulimica’ dei Millennials, i primi utenti super entusiasti di Instagram, quanto la voglia di selezionare, di condividere solo ciò che li rappresenta, di usare i social per comunicare se stessi e la propria appartenenza.
Consiglio di un Gen Z #3. Cercate di parlare la nostra lingua, individuando la community di riferimento e cercando di coinvolgerla con azioni specifiche (ci piacciono gli eventi e il merchandising) in modo da creare senso di appartenenza. Nowhere Caffè e il coffee specialties di Milano è così diventato il brunch di ritrovo della creative community internazionale durante i fine settimana. Quando questa connessione funziona, può finire per caratterizzare intere vie o quartieri delle nostre città, un po’ come la zona di Porta Venezia, a Milano, che è diventata spontaneamente luogo di ritrovo per i membri della comunità LGBTQ+ a Milano.
…E QUINDI?
La Gen Z ha recepito gusti, trend e necessità già esistenti, “velocizzandoli”, cioè adeguandoli al ritmo della loro realtà, che vive di cambiamento costante, e rendendoli sempre più rilevanti.
Le sfide per chi vuole connettersi con la Gen Z e creare un consumo out of home a sua misura, sono principalmente tre:
La capacità di costruire scenari.
Quella di facilitare le relazioni di una generazione iperconnessa ma con visibili contraddizioni quando si passa all’offline.
L’abilità nell’individuare e dar vita a una community che condivida e diffonda dei valori e una visione, sempre rispettando l'individualità e originalità del singolo.
Il branding ha un ruolo importante nella risposta a queste sfide, aiutando a creare esperienze autentiche e a far crescere community che possano dare nuovi significati a quello che è emerso da FoodZ. Il menù, l’ambiente, gli allestimenti, i singoli locali e la loro clientela vanno tutti oltre il loro valore per l’esperienza culinaria e di intrattenimento in senso stretto: ormai è una questione identitaria.