Un biglietto d'auguri
Vi ricordate Theodore Twombly?
È il protagonista di Her, il film di Spike Jonze. In una Los Angeles futuristica, Theodore siede in un ufficio color pastello e detta lettere toccanti per conto di sconosciuti: un vero e proprio ghostwriter di emozioni per un mondo che ha sempre meno spazio per esprimere sentimenti.
Nel film, quelle lettere vengono poi spedite simulando una scrittura a mano, a significare come il biglietto fisico sia l’ultimo baluardo di questa umanità, un lusso vintage.
Prima dell’istantaneità e dell’immediatezza tecnologica, ricevere un messaggio d’auguri non era un automatismo; non si mandava solo “carta”, ma una parte del proprio tempo.
Per i brand rappresentava una vera progettualità, un modo per posizionarsi ed esprimere una visione, a volte diventando un vero oggetto di design da conservare gelosamente.
Il Surrealismo di Salvador Dalí per Hallmark (1948)
Sembra incredibile, ma nel 1948 Hallmark — il gigante del nazional-popolare americano — commissionò i biglietti di Natale a Salvador Dalí. Il risultato fu un Babbo Natale senza testa che suona un liuto e alberi fatti di farfalle. Il progetto era un vero e proprio manifesto artistico, l’antitesi di un regalo usa e getta.
Il lusso di Tiffany & Co. con Andy Warhol (1956-1962)
Tra i lavori precedenti alla sua consacrazione come re della Pop Art, Warhol realizzava illustrazioni natalizie per Tiffany. I suoi biglietti erano l’antitesi del lusso: disegni al tratto, quasi infantili, di scimmie, stelle e scarpe. Nessun logo gigante, nessun prodotto, solo l’idea di regalare un momento di leggerezza.
Il Design come manifesto: Charles & Ray Eames (Anni ‘50) Per Charles e Ray Eames, celebri per i loro arredi iconici, il biglietto non era un semplice supporto, ma un’estensione del progetto creativo. Attraverso fotografie di componenti industriali o collage geometrici, trasformavano un oggetto di comunicazione in un segno estetico riconoscibile.
Micro-architetture: Heatherwick Studio Thomas Heatherwick è l’eccezione che conferma la regola. I suoi auguri non sono cartoline, sono micro-architetture. Strutture che si espandono, meccanismi di carta che richiedono interazione. Un’esperienza che il digitale non può replicare, capace di renderli vere e proprie opere da esporre.
C’è ancora spazio per questa audacia?
Nel 2025, inviare un biglietto fisico non richiesto e senza un apparente messaggio è diventato un gesto dal paradosso curioso: quello che per Theodore Twombly era il massimo del calore umano, oggi può sembrare un simbolo di formalità o routine.
Se i biglietti di Natale sono obsoleti, rimane comunque forte il desiderio di connessione. In un’epoca dominata dall’interazione digitale, c’è ancora spazio per ritrovare significato e umanità in un oggetto fisico.
Il rischio è quello di fare la fine di Theodore: innamorarsi di un mondo digitale perché è più comodo della realtà.





